Collezioni

Cofanetto

Il cofanetto, opera suntuaria che rispondeva per la scarsità del materiale utilizzato a un mercato low cost (Shalem 2007), è stato attribuito da Supino a manifattura arabo-sicula del XIII secolo (1898); ipotesi accolta anche in occasione della mostra di Monaco di Baviera (1910). Il cofanetto ha destato l’interesse della critica per l’apparato pittorico d’ambito arabo-siculo, che ai consueti motivi ornamentali vegetali e animali, associa raffigurazioni umane, alcune connotate in senso cristiano. Si tratta di soluzioni riscontrate anche in un cofanetto della Cappella Palatina di Palermo, in uno della Cattedrale di Veroli, in un esemplare di Portovenere, nel cofano della Cattedrale di Bari e nella scatola della Cattedrale di Troia. In particolare, nelle figure entro clipei del coperchio del Bargello, secondo Diez, vanno identificati Cristo (al centro), san Pietro (a destra) e san Paolo (a sinistra), secondo la traditio legis. Questa interpretazione venne adottata dallo studioso anche nel cofano del Tesoro della Cappella Palatina di Palermo. Blythe Cott (1939) e Ferrandis (1935-1940) accolsero questa lettura e datarono il cofanetto Carrand al XII secolo; Pinder-Wilson e Brooke (1973) e Scerrato (1979), invece, la avversarono. Studi più recenti, seppur abbiano riconosciuto l’uso del nimbo anche in ambito islamico, hanno ribadito l’evidenza che negli esemplari del Bargello, Palermo, Veroli, Londra e Troia i soggetti sono “inequivocabilmente connotati come cristiani” (Distefano in Ciseri 2018, p. 189). L’affinità stilistica tra soggetti islamici e cristiani ha fatto ipotizzare la presenza di una maestranza che eseguiva soggetti di ispirazione cristiana con lo stesso stile con cui dipingeva soggetti tratti dal tradizionale repertorio islamico (Ivi). Pinder-Wilson ha messo in relazione la figura di Cristo del Bargello alla figura di matrice islamica, dell’uomo seduto, visibile nel clipeo di un cofanetto de L’Aia (1973); mentre la decorazione delle vesti di Cristo del cofanetto del Bargello ricompare in due figure del perduto cofanetto di Wurzburg. Quanto alle pitture della faccia anteriore, esse sono state messe in relazione con la produzione di ceramiche persiane mīnā’i, in cui ricorre un repertorio iconografico analogo a quello dei cofanetti arabo-siculi (Monneret de Villard 1950). In particolare il cofanetto del Bargello, vicino stilisticamente all’esemplare del Musée du Vieux-Château di Laval, a uno del Tesoro della Cattedrale di Veroli e a una scatola cilindrica, già in collezione Brummer e ora al Metropolitan Museum di New York (inv. 55.29.2), presenta figure dai contorni pesanti e da una cromia accesa, che rimanderebbe alla produzione ceramica mīnā’i di stile orientale classico, che ebbe una lunga durata, fino ai dipinti della Cappella Palatina di Palermo. Da ultimo, il cofanetto è stato ricondotto a una manifattura siciliana e inserito all’interno del IV gruppo degli avori arabo-siculi, insieme a quelli di Veroli, Laval e del cofano della Cappella Palatina, la cui presenza suggerirebbe l’esecuzione dell’intero gruppo in età sveva, entro la prima metà del XIII secolo (Distefano in Ciseri 2018, p. 190).

Scheda tecnica

Titolo dell'opera Cofanetto
Data 1191 - 1210
Tecnica avorio/ pittura, impiallacciatura, legno, bronzo/ battitura, doratura, forgiatura
Inventari
Inv. Collezione Carrand (Bargello) n. 85
Collezione Museo del Bargello