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Elefante

Pezzo da gioco corrispondente all’alfiere, termine che deriva dall’arabo al-Fīl, ossia elefante (Sanvito 2000). Messo da subito in relazione con gli scacchi del tesoro dell’abbazia di Saint-Denis (Parigi, Bibliothèque nationale de France), il manufatto è stato dapprima attribuito all’ambito bizantino del XII secolo (Supino 1898), poi all’area di Bagdad del IX-X secolo (cat. Monaco di Baviera 1910). Se Goldschmidt (1926) ne spostava l’esecuzione al XII secolo, Kühnel, in un primo tempo, lo riconduceva all’ambito mesopotamico del IX secolo (1925), poi a quello iracheno del X secolo (1963) e infine all’Iraq del IX secolo (1971), vicino, dal punto di vista decorativo, agli stili di Samarra. Nel frattempo Ackerman (1964-1965) ne indicava una datazione all’XI secolo. L’elefante del Bargello è un raro esemplare di scacco islamico naturalistico e si differenzia dalla maggior parte degli scacchi eburnei di ambito islamico noti, che presentano un’ornamentazione astratta (cfr. inv. 49 Carrand; NCTN 0901395365). Esso è stato messo in relazione con uno scacco a forma di elefante di collocazione ignota, datato tra il IX e X secolo, e con un altro, conservato a Berlino, risalente all’VIII secolo (Kühnel 1971). Più di recente si è sottolineata la vicinanza del pezzo Carrand a un elefante del Metropolitan Museum di New York (inv. 64.262.1) per la “costruzione monumentale dei piani” e per “il forte realismo nella resa anatomica” (Distefano in Ciseri 2018, p. 174). Inoltre lo scacco di Firenze è stato accostato ad alcuni animali in metallo, in cui a un gusto naturalistico del modellato è abbinata una ricca ornamentazioni a incisione e a traforo (Grube in Venezia 1993). Quanto agli ornati dispiegati sulla gualdrappa, consistenti in palmette collocate entro tralci, essi si riscontrano in pannelli in stucco del IX secolo, provenienti da Samarra e conservati a Berlino; ma anche nelle porte lignee iraquene del Metropolitan Museum of Art (inv. 31.63, databili tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo). Se gli studi hanno ribadito più volte la derivazione del pezzo Carrand dalla produzione abbaside, il passaggio di un motivo decorativo da un contesto architettonico a quello delle micro tecniche non ha sempre convinto la critica. Quanto alla provenienza, Blaise de Montesquiou e Gaborit-Chopin hanno ipotizzato l’elefante del Bargello possa essere appartenuto al tesoro di Saint-Denis. Un documento del 1634 mette in relazione l'”elefante di Carlo Magno” con un altro elefante che per motivi stilistici e formali non poteva essere uno di quelli di ambito salernitano allora conservato presso la stessa abbazia, facendo pensare all’esistenza di un altro elefante eburneo poi disperso.

Scheda tecnica

Titolo dell'opera Elefante
Data 801 - 999
Tecnica avorio/ incisione, intaglio, trapanatura
Inventari
Inv. Collezione Carrand (Bargello) n. 63
Collezione Museo del Bargello